«Sono forse il custode di mio fratello?» L’invidia nelle relazioni familiari
- Claudio Sabatini
- 26 mag 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Articolo pubblicato sul mensile “L’Ogliastra” n.4 del 2024 – aprile 2024
Il sentimento psicologico dell’invidia si definisce come un’emozione complessa riferita ai valori e all’immagine di sé e alla sua base si riscontrano sentimenti di mancanza, rivalità e senso di inferiorità.
Fu M. Klein che spiegò quanto l’invidia fosse il sentimento degli impulsi umani più distruttivi che impedisce lo stabilirsi di un rapporto valido con gli oggetti buoni, mina il senso di gratitudine e rende incerta la distinzione tra buono e cattivo. Nelle prime fasi dello sviluppo del Sé, il cucciolo d’uomo fa esperienza di sensazioni piacevoli, gratificanti e idealizzate, nonché della proiezione dei propri impulsi aggressivi. Il bambino si costruisce l’immagine simbolica del “seno buono” che nutre e del “seno cattivo” che rappresenta l’assenza. Il bambino nei primi mesi percepisce l’Altro come scisso in due componenti contrapposte e non è capace, se non in una fase successiva, di integrare la “madre” che costituisce la base di entrambi gli elementi: aspetti buoni e aspetti mancanti. Una volta che il bambino riesce ad integrare le due parti subentra la capacità di fare esperienza di gratitudine.
Nello sviluppo successivo, possono strutturarsi sentimenti di distacco, grandiosità e incapacità di stabilire legami duraturi, che sono connessi all’invidia, ovvero l’odio per l’oggetto buono che possiede e controlla qualcun altro.

Tanti sono gli esempi che troviamo nei miti, nella letteratura e nel mondo delle fiabe: il mito di Narciso che, innamoratosi della sua immagine riflessa, non la tollera fino a morire; Icaro che si costruisce le ali con la cera per fuggire dal labirinto, ma nel volo, in un senso di grandiosità, desidera raggiungere il sole, con il risultato che le ali si sciolgono per morire nel mare; nella fiaba di Biancaneve, la matrigna cattiva è invidiosa della bellezza della figliastra e architetta la sua morte.
Nella realtà di tutti i giorni, i bambini quando giocano, desiderano possedere i giocattoli degli altri, non per la natura stessa dei giocattoli, ma perché sono posseduti da altri bambini. È quello che J. Lacan definisce il desiderio umano come desiderio dell’oggetto del desiderio dell’altro.
È all’interno della famiglia che si fa esperienza di relazioni, di sentimenti e di emozioni. Nelle relazioni e nelle transazioni comunicative impariamo valori, regole, confini e acquisiamo la capacità di autodeterminazione e di autodefinizione della nostra posizione nel mondo.
Attraverso l’esperienza nelle relazioni familiari, assimiliamo gli stili di funzionamento nei confronti dell’esterno. Per cui la rivalità all’interno della coppia genitoriale, quella fraterna, la capacità di attesa e di tolleranza alla frustrazione sono esperienze che permettono di far evolvere la spinta distruttiva verso una direzione positiva e un benessere personale.
Se Caino non ha saputo tollerare la predilezione dell’offerta di Abele, fino ad esperire la sua carica distruttiva, noi attraverso l’esperienza dell’invida buona (rivalità, confronto, logica del et-et e non del o-o) possiamo adottare nella nostra vita comportamenti di sana competizione, di assunzione di responsabilità lavorative e sociali, costruire una buona considerazione di noi stessi.

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